Questa crisi, annunciata da tempo, è esplosa nel momento peggiore di una crisi finanziaria, che, secondo alcuni autorevoli economisti, potrebbe far rimpiangere il 1929. Sarebbe interesse del paese avere un governo stabile ed autorevole, in altre parole in grado di prendere misure rapide ed efficaci.
Sgomberiamo il campo da Mastella, quasi che sia possibile addossare a lui la responsabilità: non ha tenuto conto dell’interesse nazionale, ma si è fatto guidare dalla sua condizione personale.
Una tale valutazione sarebbe tollerabile se gli altri attori avessero fatto prevalere gli interessi nazionali e non quelli della loro bottega. Mastella era contro l’ammissione dei referendum elettorali, mentre erano latitanti il Governo e Rifondazione Comunista ed autorevoli esponenti prodiani erano referendari illustri ed intransigenti, insieme con pezzi veltroniani del PD. Alla vigilia della pronuncia, scandalosamente affrettata della Consulta, un raid giudiziario ha fatto piazza pulita dell’Udeur in Campania. Un collega di Governo, Di Pietro per non fare altri nomi, ha maramaldeggiato. Sul piano della riforma elettorale tutto fermo, passi avanti possibili soltanto da un’intesa bipolarista tra Veltroni e Berlusconi, con un contentino a Lega e PRC, non per caso assenti dalla battaglia contro i referendum. Politicamente Veltroni annuncia che il PD, quale che sia il sistema elettorale, andrà da solo. Aggiungiamo al quadro il richiamo alla piazza di Ruini per lavare l’offesa della Sapienza ed il grido di dolore che si levava dalle masse più sensibili ai richiami della gerarchia. Cosa poteva fare Mastella di diverso? Suicidarsi davanti alle telecamere a Porta a Porta o a Ballarò?
Costituzionalmente la risposta di Prodi è ineccepibile: far svolgere la crisi in Parlamento, in modo trasparente e sotto gli occhi di tutti. In questa sua scelta c’è anche una componente psicologica sansoniana, di quel personaggio che muore con tutti i filistei. Nel caso italiano i filistei sono sia amici (quelli da cui ci deve guardare iddio), da Dini a Veltroni, che nemici. Le lezioni anticipate, a meno di un coup de théâtre in Senato, sono alle porte. Tra i due porcellum, quello in vigore e quello referendario, il primo fa meno schifo. Se si vota, meglio presto che dopo il referendum. Se neppure Mastella vuole interferire nelle prerogative del Capo dello Stato, non mi azzardo io a farlo.
Penso soltanto a voce alta, che chi ha contribuito alla crisi ed ha la pretesa di guidare, anzi di rifondare, la politica italiana debba chiedere ed assumere l’incarico: caro Walter è giunta l’ora!
Un discorso a parte meriterebbe la sinistra, se non fosse evidente la sua marginalità. Il processo della Federazione Rossarcobaleno non ha fatto passi avanti, anzi le crepe e le lacerazioni si sono accentuate, soltanto SD (olim per il socialismo europeo) pagando un prezzo interno, ha un rapporto di fiducia totale con il PRC. La sinistra dovrebbe essere capace di allargare il processo unitario all’area socialista e raccogliere la sfida, se si vota con la legge attuale, di formare una coalizione con un programma comune ed un capo indicato come candidato alla Presidenza del consiglio.
Inutile fingere che ci siano le condizioni per una lista unica, che sarebbe, altresì, un segno di debolezza, poiché gli basterebbe un 4% per avere degli eletti alla Camera. Già porsi l’obiettivo del 10% è un messaggio forte di raccolta di consensi e di mobilitazione e tra l’altro non ci sarebbe un unico soggetto a distribuire le carte a sinistra. Se ci sono le condizioni politiche alla Camera, al Senato si può pensare ad una lista unica, perché la soglia del 20% regionale, appare fuori portata.
Un segnale è necessario, perché alle strette potrebbe funzionare il richiamo al voto utile, l’unico argomento spendibile dal PD, per contrastare la destra rampante e sicura di sé.
Felice Besostri
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