INTERVENTO DI FELICE BESOSTRI AGLI STATI GENERALI DELLA SINISTRA
ROMA 8 DICEMBRE 2007-GRUPPO DI LAVORO PARTECIPAZIONE ISTITUZIONI
STRUMENTI DEMOCRAZIA RIFORMA LEGGE ELETTORALE
La crisi della democrazia è strettamente correlata alla perdita di potere dello stato nazionale, finora il quadro istituzionale- ordinamentale nel quale la democrazia si è massimamente espansa ed insieme con la democrazia lo stato sociale: non è un caso che siano entrambi messi in discussione.
La democrazia rappresentativa ha dei limiti, che si accentuano quando vi è sproporzione tra i soggetti politici in termini di mezzi finanziari, controllo dei mezzi di comunicazione, potere di condizionamento degli elettori ( controllo territoriale della criminalità organizzata, clientelismo, corruzione diffusa, area di bisogno e disagio sociale, condizionamento etnico e/o religioso ), tuttavia sarei molto cauto nel porre in primo piano il suo superamento per rafforzare gli istituti di democrazia diretta e partecipativa. Paradossalmente si può espandere la democrazia partecipativa quanto più è matura ed avanzata la democrazia rappresentativa, in quanto la partecipazione può correggere le distorsioni della rappresentanza. Il problema che dobbiamo affrontare e risolvere è quello della carenza di democrazia rappresentativa nell’ambito di istituzioni ed ordinamenti sempre più potenti ed in grado di incidere sulle scelte politiche ed ancor più economiche degli stati nazionali e dei loro governi democraticamente eletti. Nella più grande organizzazione internazionale, le Nazioni Unite, gli stati sono rappresentati dai governi non dai parlamenti e nell’ambito delle Nazioni Unite si possono sviluppare organizzazioni come quella Mondiale del Commercio, la cui istituzione e funzionamento non è stato oggetto di alcun passaggio parlamentare.
Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale non sono soggetti a controllo parlamentare, né e prevista una dimensione Parlamentare, come invece nel Consiglio d’Europa e nell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa ovvero quando è prevista come nella NATO non ha alcun potere. Il principio cardine della democrazia rappresentativa “una persona, un voto” non ha cittadinanza nei rapporti internazionali e quindi gli interessi, i bisogni e le aspirazioni della grande maggioranza dell’umanità non sono rappresentati e quindi non sono tutelati e difesi e men che meno espansi. La democrazia rappresentativa rappresenta, quindi, tuttora un progresso da rafforzare.
Le minacce alla democrazia sono di molteplice provenienza e motivazione: in comune hanno la critica alla capacità decisionale. Si ritiene che l’efficacia del governo sia incompatibile con le procedure e le lentezze dei parlamenti ed in genere di momenti assembleari. In poco tempo si è rovesciato uno dei principi in base ai quali si è sviluppata la democrazia, cioè che il governo è responsabile di fronte al parlamento, come ogni esecutivo di fronte alla propria assemblea. Con l’elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di Provincia e di Regione si sta affermando il principio contrario, cioè che l’assemblea deve avere la fiducia dell’esecutivo, anzi del capo dell’esecutivo: in caso di contrasto si provoca lo scioglimento dell’organo rappresentativo e di indicono nuove elezioni. Tutto sommato è più garantista la forma di governo presidenziale basata su una rigida divisione dei poteri, per la quale il parlamento non può sfiduciare il presidente, ma il presidente non può sciogliere il parlamento.
Sempre in questa sciagurata tendenza a ridurre gli spazi democratici, per definizione pluralisti, si muove il referendum abrogativo parziale dell’attuale legge elettorale, conosciuta grazie a Sartori come il “porcellum” ( l’amore del suo ispiratore Calderoli per i maiali in funzione antislamica, probabilmente c’entra per qualcosa), che è stato pericolosamente sottovalutato. Quando i pochi, che cercavano di attirare l’attenzione, si agitavano, veniva loro detto che non sarebbero riusciti a raccogliere le firme, invece le hanno raccolte grazie alla pressione della grande stampa e all’organizzazione di settori dei DS. Una volta che le firme sono state raccolte ci si raccontava che il referendum non si sarebbe tenuto, perché la legge sarebbe stata cambiata. In caso contrario si sarebbero fatte le elezioni anticipate. La legge vigente piace a tutti i gruppi dirigenti dei partiti: non è un mistero. Il potere di candidatura, anzi di elezione, è lo strumento più efficace per vincere i congressi e la prossima volta non faranno l’errore di relegare al Senato le proprie minoranze. Nel 2001 e nel 2006 abbiamo avuto la prova che i nostri capi ignorano che l’Italia è uno dei pochi sistemi parlamentari a bicameralismo perfetto. Nel 2001 per salvare una decina di posti alla Camere con le liste civetta, decisero di perdere scientemente al Senato, regalandoci 5 anni di berlusconismo e nel 2006, appunto imbottirono di oppositori interni il Senato, che per la logica dei numeri è il ramo del Parlamento decisivo per le sorti del Governo e della legislatura.
Tornando al referendum, passato il vaglio della Cassazione, deve sottostare al giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale. Credo che ora tutti a sinistra,ma anche in altre parti dello schieramento politico, abbiano compreso la valenza politica del referendum sulla legge elettorale, sia che si svolga, sia che sia utilizzato come strumento di pressione per far passare una riforma, che risponda alle intese di Weltroni e Berlusconi. Eppure questo referendum se fosse ammesso e raggiungesse il quorum, produrrebbe conseguenze aberranti. Come tutti i referendum manipolativi attraverso l’eliminazione di parti o addirittura parole della vecchia legge si cerca di dar vita ad una nuova legge auto applicativa. Tuttavia i nostri referendari hanno scientemente o per disattenzione commesso un errore. Scientemente se per coerenza con la legge vigente hanno dovuto mantenere il premio di maggioranza ad una lista dotata di un programma e di un capo politico: sarebbe stato assurdo dare un premio ad un contrassegno elettorale. Pertanto all’articolo 14-bis del Testo Unico per la elezione della Camera dei Deputati hanno previsto la cancellazione del secondo periodo del terzo comma di detto articolo. Questo secondo periodo era quello che faceva obbligo alle coalizioni di liste di presentare un unico programma ed di indicare il medesimo capo politico. E’ rimasto intatto il primo periodo del terzo comma dell’articolo 14-bis che fa obbligo alle liste ( al plurale) di depositare insieme con il contrassegno di lista un programma ed un capo politico. Nel precedente articolo 14 è chiaro il divieto di presentare contrassegni elettorali simili ad altri ovvero confondibili con i contrassegni di altre liste. Nulla impedisce che liste con contrassegno diverso, nella loro autonomia e per trasparenza innanzi al corpo elettorale, concordino di presentare un identico programma e di indicare un medesimo capo politico. Per non incidere sulle prerogative costituzionali del Capo dello Stato, cui spetta la nomina del Presidente dl Consiglio dei Ministri, da nessuna parte è detto che il capo politico debba essere candidato nella lista che lo indica, anzi la logica delle coalizioni lo escludeva, né il capo politico deve essere un parlamentare, poiché può essere nominato dal Presidente della Repubblica un normale cittadino elettore con l’età prevista.
Le leggi elettorali, per giurisprudenza costante, sono di stretta interpretazione e perciò prescrizioni e divieti devono essere espliciti. Orbene è del tutto possibile che l’insieme delle liste con lo stesso programma e con il medesimo capo politico conquistino la maggioranza assoluta dei voti popolari. Se resta il testo risultante dal referendum, nel caso che nessuna delle liste con lo stesso programma e capo abbia più voti di altra lista solitaria, questa ultima avrebbe diritto all’integrale premio di maggioranza, cioè una lista politicamente minoritaria avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi!
Alla faccia della logica, della razionalità e dell’uguaglianza del voto dei cittadini! Ci sono altri rilievi tecnici ai quesiti referendari, compreso quello più innocuo sul divieto di candidature multiple, uno scandalo nello scandalo del blocco delle liste, tuttavia questo mi pare il più forte.
Purtroppo i cittadini elettori non hanno la possibilità di far valere le loro ragioni innanzi alla Corte, ma soltanto, a partire da diverse sentenze dell’anno 2000 i partiti politici o i sindacati, oltre che i promotori del referendum ed il governo. Spero che i partiti politici contrari sappiano coordinarsi e presentino memorie innanzi alla Corte almeno 3 giorni prima della Camera di Consiglio, già fissata per il 16 gennaio 2008: il tempo è poco tenendo conto del periodo natalizio e delle festività successive
Felice Besostri
Diritto Pubblico Comparato, Scienze Politiche, Università degli Studi di Milano, già compnente della Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica XIIIesima legislatura
fc.besostri@libero.it
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