Premetto che, arrivato un poco in ritardo allo workshop “Democrazia Partecipazione”, ho avuto per un tempo non breve la sensazione un po' surreale di essere arrivato nel mondo dei sogni. Il quadro che i vari interventi venivano delineando rispetto al tema in discussione appariva accattivante, direi quasi idilliaco. È pur vero che si trattava, almeno così mi pareva, non della situazione reale, ma delle prospettive futuribili.
Ora, è vero che in ogni momento possono arrivare novità inaspettate, come è accaduto qualche anno fa con la sorprendente esperienza del bilancio partecipativo di Porto Alegre. Ma è vero anche che, in questi tempi di politica spettacolo, anche dalle nostre parti politiche, ciò che sembra contare è la capacità di cavalcare l'onda del momento. E così, dopo che il bravo Salvatore Ricciardi ha girato mezza Italia come fosse la madonna pellegrina, con tanto di officianti che si appropriavano del privilegio di essere i veri interpreti del nuovo verbo, di Porto Alegre non si parla più. Da quando poi la coalizione di sinistra, protagonista dell'epopesa di Porto Alegre, si è spaccata, ed ha perso le elezioni, un silenzioso tabù è calato su tutta la vicenda. Il nome stesso di Porto Alegre è migrato via dai discorsi di chi è sempre dentro al bon ton della politica.
Con questo non voglio negare il valore delle esperienze di partecipazione che anche in Italia si sono fatte, e forse si continuano a fare. Voglio dire che la realtà che conosco è molto diversa, strutturalmente diversa. E difatti, quello stesso pomeriggio dell'8 dicembre, man mano che gli interventi si susseguivano, la realtà di una situazione di grave deprivazione democratica strutturale, pervasiva delle realtà amministrative in Italia, si stava facendo sempre più spazio. Una realtà in cui la deprivazione di democrazia ha una origine LEGISLATIVA, cioè ha corso in forza di legge. Per farla breve, le voci di denuncia della sostanziale ademocraticità dei rapporti amministrativi a livello locale si stavano facendo sempre più incalzanti, puntuali, in qualche caso direi quasi drammatiche, concentrandosi sui poteri di sindaci e governatori che svuotano completamente il ruolo dei consigli, e quasi anche delle stesse giunte, a tutti i livelli.
A mio avviso questo è al momento il terreno più proprio su cui va collocata la questione, se non si vuole rimanere nel campo dei proclami e delle buone intenzioni. Mi pare una semplice constatazione, non una teoria, l'osservazione che l'autodissoluzione del PCI ha portato al vuoto, conseguenza del fatto che la tradizionale politica della democrazia progressiva, propria di tale partito, è stata ovviamente abbandonata da quanti si sono gettati nella nuova direzione, che ha avuto in questi mesi il suo esito già scritto nella creazione del partito democratico; mentre l'aggregazione che si è collocata all'estrema sinistra ha sostanzialmente abbandonato l'attenzione stessa verso gli aspetti istituzionali, un po' per confusione, od impotenza, da parte dei suoi esoponenti provenienti dal PCI; e un po' per estremismo (mi sia consentita questa parola, privandola della sua carica bigotta; la uso solo in senso indicativo, senza contenuto morale od etico, e tanto meno politico), da parte di chi, troppo preso dal pensiero della rivoluzione, pensa che le questioni della democrazia formale siano puramente borghesi.
E invece la vera e proprio rivoluzione regressiva sul piano sociale che si è avuta negli anni '90, e che ha trovato il suo coronamento con la controriforma della costituzione approvata qualche giorno prima dello spirare delle camere nel 2000, sotto le cure del governo Amato, ha portato un totale cambio di paradigma. Tutti i rapporti sociali e politici sono stati omogeneamente portati sul piano del diritto privato. Non sto parlando da esperto di diritto, per cui sicuramente il mio modo di esprimermi sarà censurabile sul piano formale; ma se la cosa non è chiara, cercherò di illustrarla con alcuni esempi, tratti dalla mia esperienza di lotta e di iniziativa politica diretta in ambito locale.
1° esempio
Riguarda una questione nazionale, quella dell'acqua. A questo riguardo la Regione Lombardia con una legge dell'8 agosto 2006, n. 18, modificava di fatto la legislazione nazionale (ed europea) in tema di servizi pubblici locali, sopprimendo la possibilità di gestire l'erogazione dell'acqua da parte degli enti pubblici, ed obbligando comuni e provincia ad affidare il servizio ai privati. Di fronte ad un atto palesemente illegale della regione, quali strumenti di difesa possono essere messi in campo? In questo caso lo Statuto della Regione Lombardia prevede la possibilità del referendum abrogativo. Tra i soggetti che possono promuovere il referendum ci sono anche i comuni, in numero di almeno 50. È quello che hanno fatto più di cento comuni lombardi (leggi tutto...). Ma qui scatta la beffa: a decidere della ammissibilità del referendum è in ultima istanza lo stesso Consiglio Regionale che ha approvato la legge. Naturalmente il suddetto consiglio della Regione Lombardia ha decretato che il Referendum proposto dai comuni lombardi non è ammissibile!
Nel nostro caso, anche il governo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale, che non si è ancora pronunciata, ma questa è un'altra storia, che ha poco a che fare con l'argomento “democrazia e partecipazione”, in quanto riguarda il conflitto tra poteri dello Stato.
2° esempio
Siamo a Chiari, provincia di Brescia, una cittadina di oltre 15.000 abitanti. Qui, a partire dai primi anni Novanta, con i fondi della Regione Lombardia, è stato istituito un campo di sosta e transito destinato alle “etnie tradizionalmente nomadi e seminomadi” esplicitamente destinato a “favorire rapporti con le comunità locali ed a migliorare le interrelazioni con le istituzioni pubbliche per una più ampia tutela sociale nel rispetto della identità culturale e delle abitudini di vita delle stesse”. Vinte le elezioni, la Lega lombarda approva un nuovo regolamento per il campo nomadi. Tale regolamento, come dichiarato nella delibera del Consiglio Comunale che lo ha adottato, ha la finalità esplicita di realizzare il programma elettorale della Lega, là dove dice che saranno messe in atto “azioni tese alla chiusura e allo sgombero del campo nomadi”. Essendo questa la finalità, il nuovo regolamento è scritto in modo da rendere pressoché impossibile il suo rispetto da parte degli abitanti del campo, senza andare troppo per il sottile nei confronti della Costituzione della Repubblica Italiana. Chi vuole saperne di più può leggere tutta la storia qui,tenendo conto che non è ancora finita. In questo intervento, di questa storia, mi interessa di segnalare un solo punto, fra i moltissimi che potrebbero essere indagati, a partire dalle palesi violazioni di molti principi costituzionali. Si tratta di questo. Dopo anni di angherie, il comune riusciva a far sloggiare gli ospiti del campo. Immediatamente dopo il campo veniva raso al suolo. Successivamente, a seguito della azione pressante dei consiglieri regionali Osvaldo ed Arturo Squassina, la Regione Lombardia ha risposto ufficialmente, per bocca dell'assessore Abelli, che, avendo usufruito di finanziamenti regionali, “i servizi realizzati con i suddetti finanziamenti devono mantenere la destinazione prevista” che era il “servizio di sosta e transito...per un periodo non inferiore a venti anni”. Abbiamo dunque a che fare con una palese violazione di legge, ufficialmente dichiarata dalla regione Lombardia. La cosa ha avuto qualche conseguenza, qualche ricaduta sulla Amministrazione comunale di Chiari? Assolutamente no. Il potere dei ras locali non si tocca!
3° esempio
Ci spostiamo di pochi chilometri, ed entriamo nella Franciacorta. Qui troviamo un paesino, antico “capoluogo” di distretto ai tempi del regno lombardo-veneto, Adro. Il ras locale è un altro pittoresco personaggio leghista, che ha raggiunto un suo personale primato, negando il sussidio di maternità alle madri italiane non regolarmente sposate. Infatti il comune di Adro ha deciso di propria iniziativa di attribuire un contributo “extra” per i nuovi nati e per le adozioni. Ma, udite udite, nel regolamento per l'attribuzione si legge: “ART. 4 – REQUISITI - L'erogazione del contributo è subordinata al possesso dei seguenti requisiti: 1. residenza del neonato o dell'adottato nel Comune di Adro; 2. i genitori devono essere tra loro coniugati;” (leggi tutto...). Cioè, per dare attuazione alla prima parte dell'art. 31 della Costituzione (cito letteralmante dalla delibera), “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.”, ma soprattutto perché (cito sempre dalla delibera) “Sindaco: fa presente che non si sta facendo altro che portare avanti quanto previsto dal Programma elettorale”, viene violata la seconda parte dello stesso articolo 31: “Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”, dove è assente ogni riferimento alla famiglia, tanto più che prima viene l'articolo 30 in cui è detto a chiare lettere che “La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”.
Continuare sarebbe del tutto ozioso. Che cosa voglio sottolineare con questo intervento? Voglio segnalare il fatto che dal nostro dibattito politico questi aspetti sono del tutto assenti. Le “grandi” rivendicazioni sulla pace, sulla precarietà, sui salari, sulla sicurezza sociale, in cui i risultati raggiunti sono stati, è vero, modesti, per non dire nulli, sono per lo meno state messe nell'agenda politica. Questa da me segnalata mi pare del tutto assente. Posso formularla così. Visto che nessuno dei soggetti politici che sono presenti in questa occasione – gli Stati Generali della Sinistra, sono stati chiamati - sta proclamando la prossima venuta di una rivoluzione sociale che stravolge la struttura economica della società, ed al suo seguito tutte le formazioni sovrastrutturali, comprese quelle giuridiche, non è il caso che nel dibattito nostro entri anche l'urgenza di garantire l'ispirazione universalistica degli articoli 2 e 3 della Costituzione, pensando per lo meno ai classici “contrappesi” propri delle teorie liberali; per cui allo spropositato potere di arbitrio che la legislazione degli anni Novanta del secolo scorso ha riconosciuto agli esecutivi amministrativi si possa contrapporre non solo il ricorso individuale ed oneroso alla giustizia amministrativa da parti di chi ha ricevuto un danno personale; ma anche si istituisca ex novo una possibilità di ricorso politico-giuridico da parte di chiunque, quando siano in gioco principi universali inviolabili che la minuta azione amministrativa mette a rischio. Perchè è chiaro che è a partire da questi livelli che riguardano immediatamente la vita delle persone nelle comunità di appartenenza che si gioca la reale sussistenza di concetti come quelli di “diritto” e di “democrazia”, che diversamente rischiano di essere vuote astrazioni.
E, per non lasciare anche questo intervento rimanga un vuoto lamento, indico, a titolo esemplicativo, una possibilità di utilizzare una istituzione già esistente, che potrebbe essere utilmente chiamata in causa per cominciare ad ovviare al vuoto di “contrappesi” cui ho fatto cenno. Sto parlando dell'istituto del “Difensore civico”, già presente nell'ordinamento legislativo italiano. È ovvio che tale istituto andrebbe radicalmente ristrutturato almeno in due direzioni. La prima “riforma” imprescindibile sta nella NECESSITÀ che il dirensore civico diventi una figura OBBLIGATORIA nei vari livelli della amministrazione ed INDIPENDENTE dagli organi amministrativi stessi; nelle condizioni attuali il cosiddetto “difensore civico”, mi pare, non può essere altro che un agente di “public relations” per conto della amministrazione che lo nomina e lo paga. La seconda “riforma” consisterebbe nell'attribuire a tale istituto il potere di avviare, a posteriori, certamente, la procedura di controllo di costituzionalità, nel caso in cui nei vari livelli di azione normativa svolta dagli organi preposti, si configuri appunto il sospetto di violazione di principi costituzionali riguardanti i diritti fondamentali ed universali della persona; avviare, e non decidere, ovviamente, e non decidere in proprio. Sarebbe dunque da mettere a punto la procedura di filtro delle istanze che vengono proposte, e l'appropriato livello decisionale rispetto al contenzioso che verrebbe prodotto.