lunedì 28 gennaio 2008

Crisi

Questa crisi, annunciata da tempo, è esplosa nel momento peggiore di una crisi finanziaria, che, secondo alcuni autorevoli economisti, potrebbe far rimpiangere il 1929. Sarebbe interesse del paese avere un governo stabile ed autorevole, in altre parole in grado di prendere misure rapide ed efficaci.
Sgomberiamo il campo da Mastella, quasi che sia possibile addossare a lui la responsabilità: non ha tenuto conto dell’interesse nazionale, ma si è fatto guidare dalla sua condizione personale.
Una tale valutazione sarebbe tollerabile se gli altri attori avessero fatto prevalere gli interessi nazionali e non quelli della loro bottega. Mastella era contro l’ammissione dei referendum elettorali, mentre erano latitanti il Governo e Rifondazione Comunista ed autorevoli esponenti prodiani erano referendari illustri ed intransigenti, insieme con pezzi veltroniani del PD. Alla vigilia della pronuncia, scandalosamente affrettata della Consulta, un raid giudiziario ha fatto piazza pulita dell’Udeur in Campania. Un collega di Governo, Di Pietro per non fare altri nomi, ha maramaldeggiato. Sul piano della riforma elettorale tutto fermo, passi avanti possibili soltanto da un’intesa bipolarista tra Veltroni e Berlusconi, con un contentino a Lega e PRC, non per caso assenti dalla battaglia contro i referendum. Politicamente Veltroni annuncia che il PD, quale che sia il sistema elettorale, andrà da solo. Aggiungiamo al quadro il richiamo alla piazza di Ruini per lavare l’offesa della Sapienza ed il grido di dolore che si levava dalle masse più sensibili ai richiami della gerarchia. Cosa poteva fare Mastella di diverso? Suicidarsi davanti alle telecamere a Porta a Porta o a Ballarò?
Costituzionalmente la risposta di Prodi è ineccepibile: far svolgere la crisi in Parlamento, in modo trasparente e sotto gli occhi di tutti. In questa sua scelta c’è anche una componente psicologica sansoniana, di quel personaggio che muore con tutti i filistei. Nel caso italiano i filistei sono sia amici (quelli da cui ci deve guardare iddio), da Dini a Veltroni, che nemici. Le lezioni anticipate, a meno di un coup de théâtre in Senato, sono alle porte. Tra i due porcellum, quello in vigore e quello referendario, il primo fa meno schifo. Se si vota, meglio presto che dopo il referendum. Se neppure Mastella vuole interferire nelle prerogative del Capo dello Stato, non mi azzardo io a farlo.
Penso soltanto a voce alta, che chi ha contribuito alla crisi ed ha la pretesa di guidare, anzi di rifondare, la politica italiana debba chiedere ed assumere l’incarico: caro Walter è giunta l’ora!
Un discorso a parte meriterebbe la sinistra, se non fosse evidente la sua marginalità. Il processo della Federazione Rossarcobaleno non ha fatto passi avanti, anzi le crepe e le lacerazioni si sono accentuate, soltanto SD (olim per il socialismo europeo) pagando un prezzo interno, ha un rapporto di fiducia totale con il PRC. La sinistra dovrebbe essere capace di allargare il processo unitario all’area socialista e raccogliere la sfida, se si vota con la legge attuale, di formare una coalizione con un programma comune ed un capo indicato come candidato alla Presidenza del consiglio.
Inutile fingere che ci siano le condizioni per una lista unica, che sarebbe, altresì, un segno di debolezza, poiché gli basterebbe un 4% per avere degli eletti alla Camera. Già porsi l’obiettivo del 10% è un messaggio forte di raccolta di consensi e di mobilitazione e tra l’altro non ci sarebbe un unico soggetto a distribuire le carte a sinistra. Se ci sono le condizioni politiche alla Camera, al Senato si può pensare ad una lista unica, perché la soglia del 20% regionale, appare fuori portata.
Un segnale è necessario, perché alle strette potrebbe funzionare il richiamo al voto utile, l’unico argomento spendibile dal PD, per contrastare la destra rampante e sicura di sé.
Felice Besostri

Contributo critico agli Stati Generali della Sinistra (Roma, 8 e 9 dicembre 2007)

CONTRIBUTO CRITICO AGLI STATI GENERALI DELLA SINISTRA
Roma - 8 e 9 dicembre 2007

Una unità progressiva e crescente della sinistra in Italia è necessaria per farla uscire dalla condizione di sinistra più debole d’Europa, debolezza che si è accentuata con la formazione del PD, formazione di natura e vocazione neo-centrista.
Una sinistra forte, unita e rinnovata è essenziale per superare la sua frammentazione, che è nel contempo causa ed effetto della sua debolezza, se confrontata con il radicamento sociale ed elettorale delle formazioni di sinistra di altri paesi europei. Dalla Spagna al Portogallo, dalla Francia alla Germania e alla Gran Bretagna, dalla Grecia ai paesi scandinavi, persino nei paesi, già facenti parte del sistema sovietico, la sinistra, nelle sue varie espressioni, ha una consistenza maggiore di quella italiana.
L’orizzonte internazionale dell’azione politica non può essere ignorato per non fare operazioni di respiro provinciale: l’Italia è un paese importante, ma non è l’ombelico del mondo.
I processi di globalizzazione dell’economia, della finanza e della comunicazione richiedono una analisi adeguata ed una risposta politica allo stesso livello dei problemi da affrontare e risolvere nell’interesse della maggioranza dell’umanità.
Nei casi in cui la integrazione delle economie e lo sviluppo del commercio internazionale aumenta il prodotto interno lordo, comunque la distribuzione della ricchezza non soltanto è ineguale, ma anche crescente è la disuguaglianza, in termini di proprietà e di reddito, tra la minoranza più ricca e la maggioranza più povera, comprese le classi medie.
Nei paesi più industrializzati la parte di ricchezza destinata ai redditi di lavoro, dipendente ed autonomo, è in costante diminuzione, come potere d’acquisto e di frequente anche in termini assoluti, rispetto ai profitti ed alle rendite finanziarie, che godono altresì di un più favorevole trattamento fiscale.
Questo fenomeno è riscontrabile nella maggior parte dei paesi europei, ma particolarmente accentuato in Italia, aggravato dall’aumento del costo della vita.
Le privatizzazioni e liberalizzazioni hanno beneficiato per una trascurabile parte i consumatori, ma creato monopoli ed oligopoli privati preoccupati di massimizzare i profitti da rendita di posizione, più che investire in ricerca ed innovazione tecnologica.
Nei paesi con più alto tasso di sviluppo degli ultimi anni, come la Cina e la stessa Federazione Russa, lo sviluppo economico, notevole in termini di tasso di crescita del PIL, non ha ridotto le disuguaglianze, semmai le ha accentuate a favore di oligarchie politiche ed economiche, che detengono il potere grazie ad un ferreo controllo burocratico e poliziesco, che limita le libertà democratiche dei cittadini e dei mezzi di informazione.
Persino in paesi molto più democratici, come l’India, lo sviluppo economico impetuoso non ha eliminato e nemmeno ridotto le discriminazioni di casta, né ha rafforzato le libertà civili e sindacali.
In generale lo sviluppo economico, senza regole diverse dalla massimizzazione del profitto, ha creato e continua a creare minacce all’ambiente ed a rarefare le risorse energetiche non rinnovabili, nonché a provocare, insieme con altri fattori politici ed ambientali, esodi biblici di popolazioni per sfuggire alle guerre, alle carestie, alle discriminazioni etniche o religiose, alla povertà ed alla mancanza di libertà.
Le tensioni sono destinate a crescere, tanto più quanto più non vi è uno sforzo coordinato e corale per risolvere i problemi dell’umanità, in particolare di quella più sfavorita, cui non è garantita nemmeno l’acqua potabile, un’istruzione elementare e le cure sanitarie di base: tutti problemi risolvibili con una frazione minima delle risorse destinate alle armi ed alle guerre.
La globalizzazione accelera lo sviluppo capitalistico, ma anche le sue contraddizioni, potrebbe quindi far maturare più rapidamente le condizioni obiettive favorevoli alla sua riforma ed, in prospettiva, al suo superamento per costruire un ordine sociale nuovo. Una moderna forza socialista nei paesi più sviluppati deve assicurare una linea d'azione politica e parlamentare di netto stampo antiprotezionista, contro il peso della burocrazia amministrativa e la sua corruzione, contro lo strapotere delle banche e delle società finanziarie che non producono direttamente ricchezza.
Nei servizi pubblici si devono privilegiare gli interessi dei cittadini utenti, come anche si devono ripensare le liberalizzazioni e le privatizzazioni indiscriminate, parassitarie ed inefficienti.
I problemi non possono essere risolti da nuove guerre preventive, o con l’erezione di muri invalicabili per difendere i paesi ricchi dai poveri del mondo, né con la diffusione di sentimenti di insicurezza ed identitari da scaricare sui diversi e sugli emarginati.
Una nuova sinistra non può che essere pacifista, internazionalista, cosmopolita ed europeista, per quanto ci concerne più direttamente come italiani.
Una società multietnica e multiculturale non può che fondarsi su un laicismo rigoroso delle istituzioni pubbliche e nella estensione della libertà e della democrazia.
Una società libera e laica deve consentire a tutti, secondo le rispettive individuali inclinazioni, di essere riconosciuti e tutelati nella loro specificità o di essere integrati e persino assimilati in una comunità che ripudia ogni discriminazione legale o di fatto per ragioni di genere, nascita, provenienza, razza, lingua, religione od orientamento sessuale.
Una sinistra unita in Italia deve promuovere il progressivo avvicinamento a livello europeo delle forze progressiste e di sinistra sui temi economici, sociali ed ambientali e sui diritti civili e di libertà anche con i liberali, che nel resto d’Europa, specialmente nei paesi nordici, sono formazioni laiche e democraticamente progredite.
Una sinistra unita e rinnovata deve rifiutare la violenza, quale che sia la sua giustificazione: i popoli sono sempre stati vittima della violenza.
In casi eccezionali si può ammettere la legittima difesa dalle violenze o dalle minacce di violenza scatenata da altri, se non è possibile altra risposta da parte dell’ordinamento giuridico nazionale o da quello internazionale.
Il potere si conquista e si gestisce soltanto con libere elezioni e con il consenso della maggioranza.
La sinistra contemporanea ha legato indissolubilmente il proprio destino alla libertà ed alla democrazia, in tutte le sue forme dalla democrazia rappresentativa alla democrazia diretta fino alla democrazia partecipativa.
La sinistra unita italiana si deve compromettere in un impegno europeista, cioè per la creazione di una comunità politica soprannazionale, retta da istituzioni democratiche, rispettosa delle conquiste economiche e sociali dei lavoratori, strumento di pace e di cooperazione internazionale.
L’Europa deve avere una particolare responsabilità verso quelle parti del mondo già soggette al proprio dominio coloniale e sfruttamento economico.
Per le peculiari ragioni storiche delle migrazioni europee ed in senso opposto dell’esilio politico latinoamericano e dei vincoli così creati, è l’America Latina il primo banco di prova di un ruolo ed iniziativa autonoma dell’Europa nello scenario internazionale.
In nessun’altra epoca, dopo la sconfitta delle dittature militari, vi sono state le potenzialità di oggi per una crescita democratica e sociale dell’America Centrale e Meridionale, grazie anche al riscatto delle popolazioni indigene. Il processo in corso dal Brasile al Cile, dall’Argentina all’Uruguay, dal Perù all’Ecuador, dalla Bolivia al Venezuela deve essere sostenuto politicamente dalla sinistra europea ed italiana e reso possibile economicamente da un diverso e più equo rapporto dei paesi europei con quelli americani.
Confrontarsi con le esigenze di sviluppo di quei paesi è un compito più difficile che esaltarsi per ogni espressione di sentimenti antigringos e continuare ad eccitarsi per i miti rivoluzionari, come Cuba, senza accorgersi delle degenerazioni autoritarie, repressive e poliziesche che la caratterizzano.
L’obiettivo di una sinistra italiana unita, larga e plurale in un contesto europeo non può essere perseguito se si ripropongono le divisioni e le discriminazioni del passato.
La frattura politica ed ideologica tra socialisti e comunisti propria del XX secolo deve essere superata nella comune visione di un socialismo nel XXI secolo: socialismo che, a differenza dei profeti del nuovismo rinunciatario, riteniamo sempre possibile ed attuale.
Una società socialista, come recitava il primo statuto del PSOE, è una ”società senza classi composta da persone libere, uguali, rispettate e intelligenti”.
Le divisioni tra riformisti e rivoluzionari, tra socialdemocratici e massimalisti non hanno più senso: sono state divisioni tragiche, che hanno indebolito la sinistra di fronte all’instaurarsi del nazismo in Germania e del fascismo in Italia, ma comunque di altro spessore e dignità di quelle che vogliono perpetuare la teoria e la prassi delle due sinistre, una “riformista” e l’altra “alternativa” o “antagonista”.
Con la teoria e la prassi delle due sinistre non si potrà mai avere una sinistra a vocazione maggioritaria, cioè in grado di aspirare a dirigere il governo del paese e non semplicemente di stare ogni tanto al Governo.
Se le sinistre sono due, la sinistra non vincerà mai le elezioni.
La teoria e la pratica delle due sinistre comporta di dare la patente di sinistra “riformista” al PD, che invece è una formazione neocentrista. E comporta anche il fatto che la sinistra cosiddetta “radicale” si auto-confinerebbe al ruolo di eterno comprimario, di alleato un po’ riottoso ma subalterno al PD se sta al governo, oppure di irrilevante area di testimonianza e di protesta se sta all’opposizione.Una sinistra incapace di sfidare il PD in termini di capacità di governo ed innovazione è funzionale al progetto neo-centrista delle alleanze libere ed intercambiabili.
In ogni caso, non siamo interessati ad una sinistra unita che programmaticamente si trovi meglio all’opposizione a coltivare i suoi angusti orticelli piuttosto che al governo per risolvere, componendole, le contraddizioni tra realismo ed utopia.
L’orizzonte europeo impone a tutta la sinistra italiana, in tutte le sue sensibilità e provenienze, socialiste, comuniste ed ambientaliste di abbandonare la critica a priori nei confronti del socialismo democratico, che si riconosce nei valori, nella storia e nelle esperienze della socialdemocrazia e che si organizza nel PSE e nell’Internazionale Socialista.
Soltanto così si potrà costruire una sinistra unita, espressione del suo vasto popolo e non sommatoria burocratica ed elettoralista di gruppi dirigenti autoreferenziali, più preoccupati del loro personale destino che della creazione, anche in Italia, finalmente di una sinistra forte, innovativa e moderna perché unita, plurale, autonoma e laica.
Nell’immediato una sinistra larga, unita e plurale deve ripartire dal dialogo e dal confronto con quelle forze che non saranno presenti a Roma: non si può parlare di Stati Generali della Sinistra se non sono coinvolte tutte le sue espressioni.
In tale contesto ci dobbiamo riferire particolarmente ai movimenti di cittadini autonomamente organizzati, alle realtà militanti ed alla Costituente Socialista, con la quale dobbiamo stabilire precise e stringenti azioni comuni nelle istituzioni e nella società. Diritti civili, laicità, libertà di ricerca, tutela dell’ambiente e difesa del potere d’acquisto di salari, stipendi, redditi da lavoro autonomo e professionale, rinnovamento, consolidamento ed estensione dello stato sociale sono terreni sui quali è possibile trovare un’intesa e definire un programma comune.

Francesco Barra (Campania)
Giuseppe Bea (Lazio)
Claudio Bergomi (Lombardia)
Francesco Berni (Lazio)
Marco Bertozzi (Umbria)
Mauro Beschi (Lazio)
Felice Besostri (Lombardia)
Maria Agata Cappiello (Lazio)
Ettore Carettoni (Roma)
Alessandro Cerminara (Puglia)
Simone Fabrizi (Umbria)
Ernesto Fedi (Toscana)
Sergio Ferrari (Lazio)
Gianglauco Gioia (Marche)
Roberto Giulioli (Roma)
Alessandro La Noce (Lazio)
Luca Lecardene (Sicilia)
Fabio Mischi (Toscana)
Gianni Nardone (Lazio)
Renzo Penna (Lazio)
Paolo Preziosa (Lombardia)
Luigi Ranzani (Lombardia)
Giuseppe Russo (Lombardia)
Giovanni Scirocco (Lombardia)
Francesco Somaini (Lombardia)
Angela Tedesco (Lazio)


Le adesioni al documento vanno inviate all’indirizzo: felice.besostri@fastwebnet.it

venerdì 11 gennaio 2008

In toscana la partecipazione è legge !

info e approfondimenti
www.nuovomuncipio.org

A partire dal seminario promosso dalla Rete a Firenze il 9 Marzo 2005, il percorso per la formulazione delle prima Legge Regionale italiana in materia di partecipazione si è venuto snodando in maniera sempre più articolata e condivisa; dopo il convegno co-promosso da Rete e Regione Toscana il 13 Gennaio 2006, che ha cominciato a tracciare le linee guida del vasto processo partecipativo finalizzato alla formulazione condivisa dell'articolato, una nuova tappa nodale si è celebrata il 19 Maggio a Signa (FI), con un convegno internazionale sulle pratiche partecipative che è apparso ancora più denso del precedente. E' seguita poi una serie di workshop preparatori al Town Meeting di Marina di Carrara che, il 18 Novembre 2006, ha chiuso la prima fase consultiva e deliberativa di questa avventura.

La parte interattiva e "ufficiale" della comunicazione si è quindi spostata sul sito web dedicato al processo, disponibile all'indirizzo www.regione.toscana.it/partecipazione, a cui rimandiamo anche per la raccolta delle registrazioni di tutti gli eventi trascorsi. Il passo successivo si è celebrato Martedì 27 Marzo, con la discussione in Consiglio Regionale del Documento Preliminare della Legge - seduta che apre ufficialmente l'iter di approvazione formale dello strumento, diffusa integralmente in diretta streaming sulla home page del processo. Il 30 Luglio, infine, la Giunta ha licenziato il testo definitivo della proposta di legge che il Consiglio Regionale ha approvato, promulgando la Legge, il 19 Dicembre 2007: lo pubblichiamo, con la sua relazione di accompagnamento, di seguito, dove presentiamo una selezione ragionata dei materiali emersi durante questa avventura, non tanto come memoria cronistica di quanto detto e fatto, quanto come base documentale per il complesso percorso di elaborazione teorica e pratica tuttora in atto anche dopo l'approvazione dello strumento, allargandosi ora - come deve - alle modalità pratiche di attuazione dei principi sanciti; per informazioni, contributi o suggerimenti di ogni genere, i nostri contatti sono Francesca Rispoli o la Segreteria della Rete.

sabato 5 gennaio 2008

Ricostruire la democrazia

Ricostruire la democrazia, ha detto Ferrara nel suo intervento al Forum. Bene. Da dove cominciamo? Io propongo di cominciare da qui, da noi, dalla sinistra unita, plurale ed ecologista che vogliamo costruire.
Per questo la nuova formazione dovrà “mischiare” tutte le “anime” della sinistra non solo quelle iscritte alle quattro attuali componenti ma anche quelle – che forse sono più numerose – che non si riconoscono in alcuna di esse, che ora sono senza rappresentanza. Inoltre non deve costituirsi secondo l'abituale "forma partito", ma deve adottare una forma capace di tenere insieme formazioni politiche e società civile senza che si stabiliscano vincoli di subordinazione, collateralismi e tentativi di strumentalizzazione, ed alla quale ci si possa iscrivere anche direttamente non soltanto attraverso le formazioni politiche. Il che vuol dire che essa non può nascere attraverso accordi tra gli stati maggiori, intermedi, minori e minimi. Ma dal basso.
In qualsiasi forma provi a mettere insieme questo variegatissimo mondo, bisogna che la nuova formazione nasca mediante un processo aperto a chiunque voglia parteciparvi, che parta dai territori, e attraverso un confronto sui contenuti (l’idea di società, di Europa e di Mediterraneo; i rapporti internazionali; le scelte strategiche) miri a costruire il progetto ed insieme il soggetto che si candida a realizzarlo, o quanto meno a battersi perché lo sia. Sarebbe bello se le attuali formazioni politiche aprissero le proprie sedi alla società civile per ospitare questo processo.
La selezione di chi guiderà l’impegno per la promozione/realizzazione del progetto dovrà avvenire nel contesto dello stesso processo e non distintamente da esso: né prima, né dopo. Perciò in ogni luogo dove si sarà attivato il processo, definito un documento di contenuti sul quale si sia verificato il consenso dei partecipanti, si dovrà a nominare il gurppo dei portavoce che dovrà risultare composto così: 25% donne iscritte ai partiti; 25% uomini iscritti ai partiti; 25% donne non iscritte ai partiti; 25% uomini non iscritti ai partiti.
La nomina dovrà avvenire scegliendo tra coloro che avranno partecipato al confronto per la redazione del documento, in base ad una lista composta di quattro sezioni di eguale peso (25% ciascuna del totale): una comprendente donne iscritte a formazioni politiche; una seconda maschi iscritti a formazioni politiche; la terza e la quarta donne e maschi non iscritti ad alcuna formazione politica. Voteranno coloro che avranno preso parte al processo e ciascuno disporrà di quattro voti spendibili su una sola delle quattro sezioni della scheda o su tutte, come meglio crede, in modo che iscritti e iscritte possano votare anche per coloro che iscritti/e non sono, e viceversa. Con le stesse modalità si procederà anche ai livelli successivi [circoscrizionale (nel caso di Comuni grandi), comunale, provinciale, regionale e nazionale].
Con questo metodo dovrà essere formulato lo statuto e soprattutto la carta dei valori.
Saranno capaci le attuali formazioni politiche di mettersi veramente in gioco? Non sarà facile. Una cosa mi sembra però altamente probabile: se non si metteranno in gioco e non contribuiranno fattivamente a costruire un soggetto nuovo nella forma e per i contenuti esse si dissolveranno e condanneranno alla insignificanza politica tutta l'area delle sinistra.
Se un nuovo soggetto nascerà davvero auspico che esso recuperi la capacità di effettuare analisi strutturali. La sconfitta che la sinistra ha subito nasce dall’aver dimesso questo prezioso strumento di lettura ed interpretazione della realtà. E’ per questo che la sinistra si è visto passare sotto gli occhi senza capirli i cambiamenti strutturali che la trasformazione del capitalismo ha indotto nella società, non si è avveduta che la logica dell’accumulazione è profondamente mutata, non ha riconosciuto come suoi i “nuovi soggetti” che il diverso modo di produrre ha fatto emergere, non si è avveduta che sfruttamento e alienazione non passano più soltanto attraverso il rapporto di lavoro dipendente ma che le forme del comando del capitale si sono moltiplicate e coinvolgono anche il momento del consumo. Non si è accorta cioè che è mutata la composizione di classe della società. E si è distinta, quando non si è divisa , dagli ecologisti, come se la questione ecologica fosse un problema a sé stante e non avesse carattere strutturale.
Termino. Nell’assemblea generale del Forum abbiamo ricordato i morti sul lavoro dell'acciaieria di Torino. Affinché il ricordo che ne abbiamo fatto non si riduca alla solita sterile liturgia occorre che quanti ritengono indegno ed inaccettabile che per lavorare si muoia assumano la consapevolezza che per evitare le morti sul lavoro è indispensabile un cambiamento radicale del modo di produrre e quindi dell’assetto della società. O la sinistra che nascerà - se nascerà - si porrà questo obiettivo o le morti continueranno a scandire i ritmi dei processi di produzione.

Nino Lisi

venerdì 4 gennaio 2008

unità e alternativa

Lo stiamo dicendo ovunque, l’appuntamento ed il momento storico sono cruciali nella vita stessa della sinistra.
Si tratta, in un momento di evidente americanizzazione della politica italiana, di creare un soggetto nuovo.
Uso la parola soggetto per non usare l’orrendo termine, “contenitore” e, soprattutto, perché vorrei che passasse l’idea che quello che andiamo a fare non sarà una somma di quattro partiti ma, piuttosto, la creazione di un qualcosa che sia veramente nuovo.
Si tratta di governare il cambiamento riuscendo a recepire quello che la nostra gente ci chiede.
Si tratta, in pratica, di riuscire ad essere espressione di quelle due che dovranno essere le parole d’ordine in questo processo : unità e alternativa.
Se non saremo in grado di interpretare questa necessità, è bene dirlo subito, avremo fallito e saremo soltanto una somma algebrica di realtà preesistenti.
Dunque unità e alternativa.
La ricerca dell’unità, croce di secoli di movimenti operai e di popolo, diventa imprescindibile in un momento storico come l’attuale dove tutto è stato studiato al tavolino per spazzarci via dalla scena politica, per relegarci a ruoli marginali, se non extraparlamentari, dove fare solo una politica della testimonianza, che può essere per alcuni anche molto divertente, ma che non porta nella pratica risultati tangibili e godibili da chi del cambiamento ha davvero bisogno; questo ruolo risulterebbe solo un mero esercizio intellettuale che a niente servirebbe se non come autocelebrazione di qualche personaggio.
Ci stiamo accingendo a fare, care compagne e compagni, care amiche ed amici, un atto di entrata delle idee della sinistra che c’è nel popolo nelle stanze del potere.Quel popolo che, talvolta stancamente, va a votarci la domenica delle elezioni che altre volte, esasperato, la domenica delle elezioni se ne sta allegramente a fare altre cose disinteressandosi di un sistema che non gli
Se questa operazione davvero riuscirà, saremo testimoni ed artefici di una rivoluzione culturale senza precedenti nella storia repubblicana.
Mi rendo conto che qualcuno penserà che forse miro un po’ troppo in alto, ma credo che la fase ce lo imponga.
Questo processo unitario infatti dovrà portare a governare quel cambiamento che dovrà dare l’alternativa di società.
Niente di nuovo, direte voi, noi di rifondazione l’abbiamo come parola d’ordine da molti anni e ne abbiamo fatto più di una volta uno slogan elettorale.
Ma l’alternativa per ora non c’è.
Lo spettacolo che abbiamo di fronte è quello che nessuno di noi avrebbe voluto avere come prospettiva il giorno delle elezioni politiche.
Abbiamo davanti ai nostri esasperati occhi il solito circo.
Quel circo che abbiamo visto tante volte : scambi di favori, balzello di poltrone, piccoli ricatti e, soprattutto, tanti animali addestrati e in gabbia impotenti di fronte alle incrostate posizioni di un modo di far politica che guarda solo se stessa.
L’alternativa di società invece, a mio modesto parere, la potremo costruire solo se saremo capaci di dare una organizzazione alle idee contemporanee, alla modernità di un messaggio che si rivolga a chi è ai margini, a chi è in difficoltà, a chi è sfruttato, ma anche a chi dieci anni fa viveva dignitosamente ed oggi è costretto a comprare, tanto per usare un esempio spicciolo, la mortadella invece del prosciutto cotto per risparmiare due euro.
Se saremo in grado di farci portavoce di una società che vuole difendere se stessa soprattutto dal mercato e dalle logiche di spartizione della ricchezza e del potere di pochissimi a discapito di tutti gli altri, se riusciremo insomma a dare un po’ più di giustizia alla nostra terra, avremo raggiunto il nostro obiettivo.
Certo fare questo a parole è molte semplice, farlo nella realtà delle cose è una sfida molto complicata e per la quale quattro forze politiche che si mettono insieme, per quanto innovative e mosse da ottimi sentimenti possano essere, non sono sufficienti.
Si tratta di aprirsi davvero a quella che grossolanamente viene chiamata società civile (tutti sono a favore a parole della società civile, se ci pensa un attimo)
Si deve, a parer mio, fare in modo che la politica esca dai palazzi e che coinvolga e dia risposte fatte di cose concrete.
Si tratta di capire e di sapere e di appoggiare quello che tutti i giorni donne e uomini vicini a noi per idee ma stufi del sistema, fanno nei quartieri, nella costruzione dal basso di una società diversa fatta di uguaglianza, di integrazione, di recupero di chi si è perso, di sviluppo di contro ed altre culture.
Aprire gli occhi a chi si è da troppo tempo rinchiuso nei lussuosi palazzi del potere, questo dobbiamo fare.
L’impressione che più forte è in me in questo momento è proprio questa; il distacco totale tra chi governa e chi è governato dove , per di più, il primo sopporta con sufficienza le richieste che gli vengono dal secondo.
Per questo ho detto che bisogna cambiare una politica che ormai guarda solo se stessa.
Per questo dobbiamo essere in grado di vedere le manifestazioni di antipolitica che ci sono e di cercare di capirle.
Si tratta, quindi, di governare il cambiamento, di offrire quella alternativa di società che non sia più legata alla logica del noi e voi quanto piuttosto alla logica del noi e basta.
Del noi tutti che tramite forme di partecipazione di idee portiamo l’alternativa nelle stanze dei bottoni.
Solo così riusciremo a mettere in atto le nostre intenzioni.
Chiaramente per fare questo serve l’organizzazione.
E’ questo che noi ,oggi, dobbiamo mettere a disposizione di tutti : l’esperienza e l’organizzazione.
L’esperienza è quella che noi ci siamo fatti negli anni, la conoscenza delle strutture burocratiche degli enti, il conoscere le vie di finanziamento dei progetti e delle idee, il saper comunicare e rendere pubbliche le iniziative.
L’organizzazione è quella che abbiamo creato con la vita dei nostri partiti.
So che a qualcuno questa cosa può far paura, anche se tutti diranno che non è vero, ma si tratta di aprire davvero i nostri partiti.
Non bisogna ragionare di scioglimento dei partiti ma di apertura, di accoglienza delle idee, di far sapere in tutti i modi che siamo pronti ad accogliere le buone idee ad elaborarle tutti insieme, ognuno con quello che meglio sa e meglio riesce a fare.
Non è che si tratta di una utopica città del sole, si tratta di fare un po’, mi perdonino i compagni di SD e gli amici verdi, i comunisti. Semplicemente.
Se chi la sinistra la mette in campo nelle attività personali tutti i giorni la comincerà a portare nelle nostre sedi riusciremo tutti ad esserne arricchiti, stimolati, accresciuti.
Certo per mettere in piedi tutto questo e molte altre cose , bisogna ritrovare tutta la nostra passione, tutto il nostro entusiasmo per dirla con Gramsci.
Per fare questo bisognerà che ognuno di noi metta in campo tutto il suo amore per il bene comune, altrimenti andremo poco lontano.
Dobbiamo essere pronti, compagni ed amici, ad una sfida che sembra essere molto difficile ma anche molto stimolante.
La novità del fare politica, l’accoglienza delle nuove idee e delle buone idee, l’aprirsi alla società, l’essere protagonisti del nostro cambiamento.
Questo dovremo fare.
Per questo ho parlato di soggetto e non di contenitore, nel contenitore le cose stanno, il soggetto le cose le fa.
Per questo l’8 e il 9 dicembre si aprirà, mi auguro, una nuova stagione.
In bocca al lupo a tutti.Ne abbiamo bisogno.

Michelangelo Jan Vecoli
Cons. com. capogruppo PRC
Comune di Camaiore (Lu)
PRC Fed. della Versilia

giovedì 3 gennaio 2008

intervento di Paul Ginsborg su liberazione del 28.12.2007

Un processo fragile e il bisogno di forme nuove per partecipare
Sinistra: cultura dell'unità e quattro urgenti passi avanti

di Paul Ginsborg

Sarebbe, credo, un errore immaginare il processo unitario della sinistra italiana come una marea crescente, un lento ma costante movimento in una direzione sola. Tutta l'esperienza e la fatica degli ultimi mesi ci suggerisce un'altra immagine, meno rassicurante ma più veritiera. E' quella di un processo fragile, capace di notevoli passi in avanti, come quelli della manifestazione del 20 ottobre e dell'assemblea dell'8 e 9 dicembre, ma anche di forti battute d'arresto, segnalate dal ricorrente predominio della cultura dei distinguo su quella dell'unità. Forte, inoltre, rimane la possibilità che tutto si fermi improvvisamente. In questa nostra declinazione modesta di un tema universale - la dialettica dell'uno/molti - tuttora soverchiante è la presenza dei "molti" e appena visibile quella dell' "uno".
Non per questo dobbiamo scoraggiarci. Prima di tutto, come ha suggerito benissimo Rossanda, dobbiamo avere «più attenzione, anche più pietà, l'uno per l'altro, l'una per l'altra». Vanno ascoltate con grande attenzione le ragioni di coloro che rimangono titubanti, e rispettate le culture e le provenienze diverse. Non possiamo pensare di trovarci subito d'accordo su tutto. Troppe sono le sedimentazioni, le diversità e le diffidenze, soprattutto - almeno nella mia esperienza limitata - a livello personale. Di fronte a queste realtà bisogna elaborare un metodo per cui si registrano i distinguo ma si cerca contemporaneamente l'azione condivisa.
Ho l'impressione che un po' alla volta sia questo che sta succedendo a livello territoriale - un quartiere dove "la Sinistra l'Arcobaleno" decide di coordinarsi, un consiglio provinciale dove propone unitariamente una mozione su Vicenza, una regione, l'Umbria, che in questi giorni ha aperto un Tavolo regionale e programma iniziative in preparazione della conferenza programmatica di febbraio. Si comincia, fra mille difficoltà, la pratica del lavoro insieme.
Non basta. Bisogna inventare nuove forme che rafforzino la cultura dell'unità. Non per cercare l'unità in sé, ma perché essa ci offre la possibilità di contare di più, di elaborare una visione del riformismo radicale, di pensare e scrivere collettivamente "a sinistra"...

E di rappresentare degnamente in Parlamento i movimenti e le proteste che altrimenti non avrebbero alcun ascolto, di sperimentare e proporre nuove forme della politica e della democrazia, sia al nostro interno che all'esterno, nel mondo asfittico della politica nazionale.
Quattro suggerimenti di metodo, telegraficamente. Primo, la necessità impellente di un tesseramento diretto, individuale, a "la Sinistra l'Arcobaleno". Tanti di noi non abbiamo in tasca alcuna tessera di uno dei partiti esistenti e vogliamo aderire all'aggregazione che nasce ora, per poter tracciare insieme i suoi lineamenti.
Secondo, incoraggiare e promuovere il lavoro decentrato - dei singoli territori e città, ma anche degli incontri trasversali, come gli autoconvocati o l'incontro tra la rete di donne e l'associazione fiorentina per la sinistra unità e plurale - iniziative che possano dare ricchezza al processo nel suo insieme.
Terzo, pensare sistematicamente al contenuto democratico dei prossimi mesi. L'assemblea romana era bella ma poco democratica. La carta d'intenti, come ha scritto Lea Melandri su Liberazione , era pre-confezionata. In questa fase i quattro segretari devono aprire ad altre soggettività per poter decidere insieme le prossime mosse. Sarebbe un errore pensare che tutto vada in frantumi senza un controllo stretto dall'alto. Bisogna fare bene le cose già annunciate. La due giorni prevista per il prossimo febbraio, per esempio, di cui tuttora mancano notizie precise, deve assumere una forma democratica e deliberativa. Certe parole utilizzate finora - "pronunciamento popolare", "grande campagna di ascolto nel Paese" - non sono rassicuranti. Tante persone ci guardano, un po' curiose e un po' scettiche. Vogliamo rispondere alle loro aspettative solo con la vecchia politica?
Ultimo, senza aspettare nessuno, la necessità di discutere sulla forma e le regole della nuova aggregazione politica. E' un lavoro difficilissimo, senza molti suggerimenti dal passato. Come si fa a controllare la gerarchia maschile, la personalizzazione della politica, il narcisismo, le clientele, i dettami dei media? O la politica è solo, inevitabilmente, questo?

28/12/2007

INTERVENTO DI FELICE BESOSTRI AGLI STATI GENERALI DELLA SINISTRA





INTERVENTO DI FELICE BESOSTRI AGLI STATI GENERALI DELLA SINISTRA
ROMA 8 DICEMBRE 2007-GRUPPO DI LAVORO PARTECIPAZIONE ISTITUZIONI
STRUMENTI DEMOCRAZIA RIFORMA LEGGE ELETTORALE

La crisi della democrazia è strettamente correlata alla perdita di potere dello stato nazionale, finora il quadro istituzionale- ordinamentale nel quale la democrazia si è massimamente espansa ed insieme con la democrazia lo stato sociale: non è un caso che siano entrambi messi in discussione.
La democrazia rappresentativa ha dei limiti, che si accentuano quando vi è sproporzione tra i soggetti politici in termini di mezzi finanziari, controllo dei mezzi di comunicazione, potere di condizionamento degli elettori ( controllo territoriale della criminalità organizzata, clientelismo, corruzione diffusa, area di bisogno e disagio sociale, condizionamento etnico e/o religioso ), tuttavia sarei molto cauto nel porre in primo piano il suo superamento per rafforzare gli istituti di democrazia diretta e partecipativa. Paradossalmente si può espandere la democrazia partecipativa quanto più è matura ed avanzata la democrazia rappresentativa, in quanto la partecipazione può correggere le distorsioni della rappresentanza. Il problema che dobbiamo affrontare e risolvere è quello della carenza di democrazia rappresentativa nell’ambito di istituzioni ed ordinamenti sempre più potenti ed in grado di incidere sulle scelte politiche ed ancor più economiche degli stati nazionali e dei loro governi democraticamente eletti. Nella più grande organizzazione internazionale, le Nazioni Unite, gli stati sono rappresentati dai governi non dai parlamenti e nell’ambito delle Nazioni Unite si possono sviluppare organizzazioni come quella Mondiale del Commercio, la cui istituzione e funzionamento non è stato oggetto di alcun passaggio parlamentare.
Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale non sono soggetti a controllo parlamentare, né e prevista una dimensione Parlamentare, come invece nel Consiglio d’Europa e nell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa ovvero quando è prevista come nella NATO non ha alcun potere. Il principio cardine della democrazia rappresentativa “una persona, un voto” non ha cittadinanza nei rapporti internazionali e quindi gli interessi, i bisogni e le aspirazioni della grande maggioranza dell’umanità non sono rappresentati e quindi non sono tutelati e difesi e men che meno espansi. La democrazia rappresentativa rappresenta, quindi, tuttora un progresso da rafforzare.





Le minacce alla democrazia sono di molteplice provenienza e motivazione: in comune hanno la critica alla capacità decisionale. Si ritiene che l’efficacia del governo sia incompatibile con le procedure e le lentezze dei parlamenti ed in genere di momenti assembleari. In poco tempo si è rovesciato uno dei principi in base ai quali si è sviluppata la democrazia, cioè che il governo è responsabile di fronte al parlamento, come ogni esecutivo di fronte alla propria assemblea. Con l’elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di Provincia e di Regione si sta affermando il principio contrario, cioè che l’assemblea deve avere la fiducia dell’esecutivo, anzi del capo dell’esecutivo: in caso di contrasto si provoca lo scioglimento dell’organo rappresentativo e di indicono nuove elezioni. Tutto sommato è più garantista la forma di governo presidenziale basata su una rigida divisione dei poteri, per la quale il parlamento non può sfiduciare il presidente, ma il presidente non può sciogliere il parlamento.
Sempre in questa sciagurata tendenza a ridurre gli spazi democratici, per definizione pluralisti, si muove il referendum abrogativo parziale dell’attuale legge elettorale, conosciuta grazie a Sartori come il “porcellum” ( l’amore del suo ispiratore Calderoli per i maiali in funzione antislamica, probabilmente c’entra per qualcosa), che è stato pericolosamente sottovalutato. Quando i pochi, che cercavano di attirare l’attenzione, si agitavano, veniva loro detto che non sarebbero riusciti a raccogliere le firme, invece le hanno raccolte grazie alla pressione della grande stampa e all’organizzazione di settori dei DS. Una volta che le firme sono state raccolte ci si raccontava che il referendum non si sarebbe tenuto, perché la legge sarebbe stata cambiata. In caso contrario si sarebbero fatte le elezioni anticipate. La legge vigente piace a tutti i gruppi dirigenti dei partiti: non è un mistero. Il potere di candidatura, anzi di elezione, è lo strumento più efficace per vincere i congressi e la prossima volta non faranno l’errore di relegare al Senato le proprie minoranze. Nel 2001 e nel 2006 abbiamo avuto la prova che i nostri capi ignorano che l’Italia è uno dei pochi sistemi parlamentari a bicameralismo perfetto. Nel 2001 per salvare una decina di posti alla Camere con le liste civetta, decisero di perdere scientemente al Senato, regalandoci 5 anni di berlusconismo e nel 2006, appunto imbottirono di oppositori interni il Senato, che per la logica dei numeri è il ramo del Parlamento decisivo per le sorti del Governo e della legislatura.
Tornando al referendum, passato il vaglio della Cassazione, deve sottostare al giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale. Credo che ora tutti a sinistra,ma anche in altre parti dello schieramento politico, abbiano compreso la valenza politica del referendum sulla legge elettorale, sia che si svolga, sia che sia utilizzato come strumento di pressione per far passare una riforma, che risponda alle intese di Weltroni e Berlusconi. Eppure questo referendum se fosse ammesso e raggiungesse il quorum, produrrebbe conseguenze aberranti. Come tutti i referendum manipolativi attraverso l’eliminazione di parti o addirittura parole della vecchia legge si cerca di dar vita ad una nuova legge auto applicativa. Tuttavia i nostri referendari hanno scientemente o per disattenzione commesso un errore. Scientemente se per coerenza con la legge vigente hanno dovuto mantenere il premio di maggioranza ad una lista dotata di un programma e di un capo politico: sarebbe stato assurdo dare un premio ad un contrassegno elettorale. Pertanto all’articolo 14-bis del Testo Unico per la elezione della Camera dei Deputati hanno previsto la cancellazione del secondo periodo del terzo comma di detto articolo. Questo secondo periodo era quello che faceva obbligo alle coalizioni di liste di presentare un unico programma ed di indicare il medesimo capo politico. E’ rimasto intatto il primo periodo del terzo comma dell’articolo 14-bis che fa obbligo alle liste ( al plurale) di depositare insieme con il contrassegno di lista un programma ed un capo politico. Nel precedente articolo 14 è chiaro il divieto di presentare contrassegni elettorali simili ad altri ovvero confondibili con i contrassegni di altre liste. Nulla impedisce che liste con contrassegno diverso, nella loro autonomia e per trasparenza innanzi al corpo elettorale, concordino di presentare un identico programma e di indicare un medesimo capo politico. Per non incidere sulle prerogative costituzionali del Capo dello Stato, cui spetta la nomina del Presidente dl Consiglio dei Ministri, da nessuna parte è detto che il capo politico debba essere candidato nella lista che lo indica, anzi la logica delle coalizioni lo escludeva, né il capo politico deve essere un parlamentare, poiché può essere nominato dal Presidente della Repubblica un normale cittadino elettore con l’età prevista.
Le leggi elettorali, per giurisprudenza costante, sono di stretta interpretazione e perciò prescrizioni e divieti devono essere espliciti. Orbene è del tutto possibile che l’insieme delle liste con lo stesso programma e con il medesimo capo politico conquistino la maggioranza assoluta dei voti popolari. Se resta il testo risultante dal referendum, nel caso che nessuna delle liste con lo stesso programma e capo abbia più voti di altra lista solitaria, questa ultima avrebbe diritto all’integrale premio di maggioranza, cioè una lista politicamente minoritaria avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi!
Alla faccia della logica, della razionalità e dell’uguaglianza del voto dei cittadini! Ci sono altri rilievi tecnici ai quesiti referendari, compreso quello più innocuo sul divieto di candidature multiple, uno scandalo nello scandalo del blocco delle liste, tuttavia questo mi pare il più forte.
Purtroppo i cittadini elettori non hanno la possibilità di far valere le loro ragioni innanzi alla Corte, ma soltanto, a partire da diverse sentenze dell’anno 2000 i partiti politici o i sindacati, oltre che i promotori del referendum ed il governo. Spero che i partiti politici contrari sappiano coordinarsi e presentino memorie innanzi alla Corte almeno 3 giorni prima della Camera di Consiglio, già fissata per il 16 gennaio 2008: il tempo è poco tenendo conto del periodo natalizio e delle festività successive

Felice Besostri
Diritto Pubblico Comparato, Scienze Politiche, Università degli Studi di Milano, già compnente della Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica XIIIesima legislatura
fc.besostri@libero.it